Verona-Atalanta 1-1, la differenza tra sogno e realtà

La differenza tra sogno e realtà la si può misurare? I tifosi dell’Atalanta, dopo la sfida pareggiata ieri al “Bentegodi” con l’Hellas per 1-1, forse hanno una risposta a questo quesito. La differenza tra sogno e realtà è possibile quantificarla in quella manciata di centimetri per la quale il tiro di Pasalic su cross di Gomez è andato fuori.

Se quel pallone fosse entrato, parleremmo di una vittoria da grande squadra da parte della Dea che manterrebbe ancora in vita il sogno dello scudetto. Invece, il comunque ottimo punto raccolto dai nerazzurri a Verona (campo dove, vale la pena ricordarlo a qualche ultracritico dell’ultima ora, la Juventus HA PERSO e l’Inter ha pareggiato), ha fatto “ripiombare” l’Atalanta nella realtà.

Una realtà che è comunque stata sempre concreta. Basta leggere il calendario. Alla Juventus bastano 9 punti per il nono scudetto consecutivo e, a meno che sia la squadra bianconera a NON volerlo vincere, questi punti tra Lazio, Udinese, Sampdoria e Cagliari arriveranno tranquillamente. Una realtà che è comunque splendida. 71 punti a quattro giornate dalla fine, il potenziale posto Champions League distante solo una lunghezza e che potrebbe divenire matematico già questa sera se la Roma non batte l’Inter. E l’ennesimo record eguagliato, quello dei 18 risultati utili consecutivi in Serie A.

Altri due fattori appartengono a questa realtà. In primis, l’avere la testa già al PSG. Avevamo pensato fin dal principio che questo nuovo campionato post interruzione causa coronavirus dell’Atalanta fosse improntato su questa caratteristica: premere il pedale dell’acceleratore dall’inizio, chiudere i giochi in chiave qualificazione Champions e poi gestire nelle ultime quattro partite. Ma per vedere se accadrà questo, bisognerà aspettare per forza i risultati di Roma-Inter e Juventus-Lazio.

E poi la questione Ilicic. Dalle poche cose che Gasperini ci ha fatto capire, abbiamo percepito come il problema dello sloveno sia essenzialmente psicologico. Noi non possiamo far altro che mandargli il nostro in bocca al lupo. Forza Josip.

Articolo a cura di Giuseppe Pucciarelli




Atalanta-Brescia 6-2, l’editoriale – Vinto il derby, ma il vero Derby è stato un altro in questo 2020

Quando una partita fila liscia come l’olio, nel senso che la squadra più forte tecnicamente si impone senza patemi d’animo su quella meno dotata da questo punto di vista, non vi è molto da commentare.

Il successo dell’Atalanta sul Brescia per 6-2 fa parte di questa particolare categorie di partite. A parte il quarto d’ora di fibrillazione dovuto al momentaneo pareggio di Torregrossa su errore tecnico di Caldara (forza Mattia!), l’Atalanta non ha avuto nessun tipo di problema nel portarsi a casa i tre punti. Alla squadra di Gasperini sono bastati cinque minuti nella parte centrale del primo tempo per chiudere i giochi con De Roon, Malinovskyi e Zapata. Il tutto contornato dalla tripletta (la prima in Serie A) di Super Mario Pasalic.

E poi gli esordi dei giovani nella ripresa. Da Rossi a Bellanova, da Colley a Piccoli passando per Czyborra. Insomma, meglio di così per Gasperini non poteva andare.

Un successo che porta l’Atalanta a 70 punti. La Dea ora si mette in salotto e attende i risultati delle altre. Soprattutto quello di Roma-Verona. Se i giallorossi non dovessero vincere questa sera, la formazione di Gasperini si qualificherebbe per la Champions League con cinque gare d’anticipo. Pazzesco. Semplicemente pazzesco.

L’Atalanta ha vinto il derby, dunque. E lo sfottò al tifoso bresciano ci sta. Ma attenzione, rimanga semplice sfottò. Per due motivi. In primis, perché non dobbiamo perdere quella sana umiltà che ha sempre contraddistinto il tifoso della Dea. Non ci dimentichiamo che qualche anno fa, seppur per un breve periodo (quello di Baggio), erano loro a essere più forti tecnicamente.

E poi perché Bergamo e Brescia hanno affrontato un altro Derby, ben più importante e rilevante di una partita di calcio in questo 2020. Derby giocato e vinto da una grande formazione: il personale medico degli ospedali delle due città. Ecco, quello è e sarà sempre il Derby più bello di questa drammatica annata.

Giuseppe Pucciarelli




Juventus-Atalanta 2-2, la rabbia e l’orgoglio

Uscire dall’Allianz Stadium di Torino con un pareggio ed essere fortemente arrabbiati. Basta questo per dare un’ulteriore prova di come l’Atalanta sia cresciuta in questi anni. E ieri, ovvio, il primo sentimento a fine partita non può non essere la rabbia.

La rabbia per aver giocato sicuramente meglio della Juventus ed essere andati a un tanto così da ottenere quello che sarebbe stato il decimo successo consecutivo in campionato. Solo due rigori (che purtroppo c’erano, a causa di una regola assurda) realizzati da Cristiano Ronaldo hanno impedito alla squadra di Gasperini di portare a casa tre punti che sarebbero stati meritatissimi.

L’Atalanta di scena ieri sera ha giocato sulla falsa riga delle ultime sfide, ossia coniugando tre parole: intensità, intelligenza, qualità. Intensità perché quando Papu Gomez e compagni hanno premuto il pedale dell’acceleratore, la Juventus ha sofferto salvandosi solo per una solidità difensiva che è la migliore in Italia, con i bianconeri che si sono chiusi a riccio evitando di concedere spazi.

Intelligenza perché quando, nei primi 10 minuti del secondo tempo, la Juventus si è ricordata di essere la capolista del campionato, l’Atalanta ha dimostrato di reggere l’urto non scomponendosi né andando in difficoltà. E questo è un ennesimo segnale di crescita.

Infine, ultimo ma non ultimo, qualità. Perché se non hai elementi dal tasso tecnico elevato come Papu Gomez e Zapata nel primo gol e Muriel e Malinovskyi nel secondo, reti del genere te le puoi solo sognare. E l’Atalanta non può non essere arrivata dove è arrivata senza la qualità.

Tre parole alle quali bisogna aggiungerne altre due. Umiltà perché manca poco all’obiettivo della qualificazione in Champions League, ma bisogna ancora lavorare per rendere tale obiettivo reale. E orgoglio. Sì, di quest’Atalanta dobbiamo esserne tutti orgogliosi.

Articolo a cura di Giuseppe Pucciarelli