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Uscire dall’Allianz Stadium di Torino con un pareggio ed essere fortemente arrabbiati. Basta questo per dare un’ulteriore prova di come l’Atalanta sia cresciuta in questi anni. E ieri, ovvio, il primo sentimento a fine partita non può non essere la rabbia.

La rabbia per aver giocato sicuramente meglio della Juventus ed essere andati a un tanto così da ottenere quello che sarebbe stato il decimo successo consecutivo in campionato. Solo due rigori (che purtroppo c’erano, a causa di una regola assurda) realizzati da Cristiano Ronaldo hanno impedito alla squadra di Gasperini di portare a casa tre punti che sarebbero stati meritatissimi.

L’Atalanta di scena ieri sera ha giocato sulla falsa riga delle ultime sfide, ossia coniugando tre parole: intensità, intelligenza, qualità. Intensità perché quando Papu Gomez e compagni hanno premuto il pedale dell’acceleratore, la Juventus ha sofferto salvandosi solo per una solidità difensiva che è la migliore in Italia, con i bianconeri che si sono chiusi a riccio evitando di concedere spazi.

Intelligenza perché quando, nei primi 10 minuti del secondo tempo, la Juventus si è ricordata di essere la capolista del campionato, l’Atalanta ha dimostrato di reggere l’urto non scomponendosi né andando in difficoltà. E questo è un ennesimo segnale di crescita.

Infine, ultimo ma non ultimo, qualità. Perché se non hai elementi dal tasso tecnico elevato come Papu Gomez e Zapata nel primo gol e Muriel e Malinovskyi nel secondo, reti del genere te le puoi solo sognare. E l’Atalanta non può non essere arrivata dove è arrivata senza la qualità.

Tre parole alle quali bisogna aggiungerne altre due. Umiltà perché manca poco all’obiettivo della qualificazione in Champions League, ma bisogna ancora lavorare per rendere tale obiettivo reale. E orgoglio. Sì, di quest’Atalanta dobbiamo esserne tutti orgogliosi.

Articolo a cura di Giuseppe Pucciarelli

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